Venezia 2011, Marco Bellocchio Leone d’oro alla carriera: il discorso del regista

Al Festival di Venezia ieri è stata la giornata di Marco Bellocchio: il regista, durante la cerimonia che si è svolta in Sala Grande al Palazzo del cinema, ha ricevuto dalle mani del suo collega Bernardo Bertolucci il Leone d’oro alla carriera. Il maestro, a cui è stata riservata una standing ovation, ha voluto parlare a tutti i presenti:

Ringrazio il Festival, la Biennale, il suo Presidente, il Direttore e amico Marco Mueller, e naturalmente Bernardo Bertolucci che ha accettato di consegnarmi questo Leone alla Carriera. La mia carriera sono i film che finora ho fatto. Film diversi a seconda delle esperienze umane molto diverse che ho vissuto in 50 anni appunto di carriera.

Ricorrente è la domanda del giornalista: “Ma la tua rabbia (quella dei Pugni in tasca, dei mitici anni Sessanta…) dove è finita?”

L’intenzione è – sempre – di fissarmi, pietrificarmi in quel passato.

Ho risposto una volta di sentirmi un ribelle (o un rivoluzionario?) moderato, definizione che piacque e conquistò il titolo. Il significato di quel rivoluzionario – o ribelle – moderato, al di là della contraddizione palese che appunto un rivoluzionario non può essere moderato, è forse di un ribelle che ha rinunciato alla violenza…

Da allora, i mitici anni ’60, le mie immagini sono cambiate, perché la mia vita è cambiata. Non sono più l’assassino o il suicida, i protagonisti delle mie storie. Né il pazzo il portatore della verità. Sono indubbiamente cambiato (la possibilità di cambiare, di trasformarsi, per certa cultura è inconcepibile e quindi affermarlo è già una provocazione): le immagini stanno lì a dimostrarlo.

Ciò che non è cambiato è una naturale inclinazione a stare dalla parte di chi è oppresso, di chi è vittima di qualsiasi violenza, a qualunque classe appartenga, la violenza dei padri – come delle madri – e la loro complicità, ma non di chi accetta passivamente la propria sconfitta e predica la rassegnazione (“così va il mondo e andrà sempre così…”).

Credo che la libertà sia la cosa più preziosa per un artista, non parlo delle libertà civili che sono garantite in questo paese, dalle leggi che vanno rispettate, ma quella libertà di immaginazione che mi obbliga a rifiutare il “devo” (o il “non posso”), lo scrupolo morale che è mortale per l’artista, paralizza la fantasia, il devo o non devo per non tradire l’idea (“i compagni”, si diceva una volta), per non essere giudicato come un reazionario, un venduto, o un pazzo… è necessaria a un artista questa libertà, per esempio, di immaginare Aldo Moro che passeggia libero all’alba in una via di Roma… massimo falso storico che la sinistra più che la destra mi ha puntualmente rimproverato…

Si può lavorare oggi con poco, ed è una gran fortuna, ma senza quella libertà i giovani imiteranno sempre le grandi commedie, o i drammi – o le farse – dei padri…

Perciò questo premio alla carriera non è una celebrazione, o un risarcimento per non so che cosa, né una riconciliazione istituzionale, ma semplicemente il riconoscimento di una coerenza che in tutti questi anni ho cercato sempre di difendere, di una libertà che va sempre riconquistata.

Photo credits | Getty Images

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