Esce nelle sale italiane questa sera, 21 marzo, il film del regista sardo Giovanni Columbu Su Re, rivisitazione della passione di Cristo ambientata in Sardegna e interpretata da attori non professionisti.
Su Re è un film di grande impatto e di grande innovazione, la cui sceneggiatura è tratta dai vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni, che punta molto, oltre che sulla spettacolarità dei paesaggi e delle immagini, su un’interpretazione dell’accadimento che passa da diversi punti di vista e da una regia sperimentale.
Su Re – La trama
La Sardegna, e non la Palestina, diventa teatro della passione di Cristo. Un luogo diverso da quello storico, come nelle opere dei pittori rinascimentali che rappresentarono gli episodi narrati nel Vangelo ambientandoli nel loro tempo, nei loro paesi e con i loro costumi, senza mai mostrare la Palestina.
Tutto inizia e finisce nel sepolcro dove Maria piange sul corpo del figlio. Tutto è già accaduto, ma gli antefatti si riaffacciano come ricordi e come sogni dei diversi protagonisti.
Su Re – I diversi punti di vista e la regia sperimentale
E’ Giovanni Columbu a raccontare come è stato girato il film Su Re, un film che, come punto di forza, ha i diversi punti di vista dai quali sono state riprese le scene, come diversi sono i racconti fatti degli ultimi giorni di vita del Cristo nei vangeli, e l’interpretazione di queste fatta da attori non professionisti, ai quali è stata imposta una regia fuori dagli schemi:
Sul set ci limitavamo a leggere un passo del Vangelo, davo delle istruzioni e procedevamo con la messa in scena. Nessuna prova, per non perdere la freschezza, ma diverse ripetizioni anche a distanza di tempo. A volte, mentre le macchine da presa stavano già girando, introducevo un cambio delle battute o uno sviluppo delle azioni, per costringere gli attori a improvvisare e interagire. Oppure, per fare crescere la tensione, senza preavviso, domandavo cose che sapevo essere più o meno impossibili, come proseguire la recitazione senza usare parole.
In questa ricerca, una soluzione che si è rivelata utile per quanto riguarda il modo di effettuare le riprese è stata l’introduzione di una seconda unità di ripresa indipendente dalla regia e affidata a un grande fotografo, Uliano Lucas, al quale diedi il mandato preciso di fare quel che voleva e di non dirmelo anticipatamente.
Il risultato meraviglioso è stato allontanare il punto di ripresa dalla prima macchina e da me, ovvero dal fronte a cui era inevitabilmente rivolta la costruzione della scena. E rendere possibile l’osservazione della stessa scena dall’esterno, da punti di vista laterali, scomodi e non già concepiti in funzione di quello che sarebbe accaduto.
Punti di vista che soprattutto io, il regista, dovevo ignorare.