“Sciuscià” è sinonimo di “cinema”. Un cinema che si fa ‘carne’, che entra di diritto nella hall of fame del panorama italiano.
Un cinema che mostra la durezza dell’immediato dopoguerra. Periodo che, oggi, sempre solo un lontano ricordo. Ne è passato di tempo da quel 1946, ma “Sciuscià”, al pari della figura del regista di questo capolavoro Vittorio De Sica, è un titolo che rimane in memoria.
Narra le vicende di due piccoli lustrascarpe, nati già grandi e scaraventati nel mondo degli adulti. Il mondo in cui non c’è tempo per i giochi, afflitto dalle bombe che piovono sul mondo e in particolare sulla nostra Italia. In questo clima infernale, Pasquale e Giuseppe trovano il tempo per diventare grandi amici.
I soldi, invece, li trovano lustrando per l’appunto scarpe ai soldati statunitensi. Inoltre, arrotondano con piccoli ‘traffici’. Giuseppe e Pasquale, malgrado siano cresciuti troppo in fretta, hanno dei sogni. Uno su tutti? Possedere un cavallo bianco.
Sarebbe un paradosso, però, vederli girare su questo cavallo su strade insanguinate, nel bel mezzo di un’Italia ferita che De Sica restituisce allo spettatore con una maestria e una crudezza senza precedenti.
“Sciuscià” è senza dubbio uno dei momenti più alti raggiunti dal neorealismo italiano. Ma è molto più che un film. Un documento storico, dal valore inestimabile.