Valerio Mastrandrea, intervistato stamane da La Repubblica, spiega come ha affrontato il difficile ruolo del commissario Luigi Calabresi in Romanzo di una strage, il drammatico dedicato alla strage di Piazza Fontana:
Ho rinunciato subito a qualsiasi giudizio ideologico su Calabresi. Da questo punto di vista il cinema aiuta, ti permette il racconto, ti regala un punto di vista. Mi sono concentrato su poche cose: pensare a quell’epoca, a chi allora aveva 32 anni ed era a capo dell’ufficio politico. Come ragionava, quali erano gli strumenti intellettuali che poteva avere. E poi mi sono lasciato trasportare dal racconto: dopo la morte di Pinelli, questa persona diventa moderna, un uomo che mette in discussione quello che fa. La scelta di Giordana di far nascere emotivamente questo tipo di consapevolezza, da parte di un uomo di Stato, di essere stato parte di un ingranaggio sbagliato, è audace e ambiziosa.
L’attore, certo del valore educativo di un film di questo genere, è il primo che ha imparato qualcosa:
Il film mi ha lasciato un grande amore per la storia del nostro paese, la voglia di capire, la consapevolezza che analizzare una figura in questo modo, andando a scavare dentro, sia una delle forme più sane per non arrivare a un giudizio ideologicamente facile, in un senso o nell’altro.