C’era una volta una Roma oppressa. Occupata dai tedeschi, sofferente.
In questa Roma sull’orlo della tragedia, Manfredi, un ingegnere comunista che milita nelle file della Resistenza entra in contatto con un tipografo. Sulle sue tracce, però, c’è la temibilissima Gestapo. Manfredi però riesce a trovare rifugio presso l’abitazione di un sacerdote (interpretato da uno straordinario Aldo Fabrizi).
Nel contempo, l’operaio è arrestato e sua moglie (la splendida Anna Magnani) viene uccisa da una raffica di colpi di mitra. C’è questo e molto altro in “Roma città aperta“.
C’è Marina, attrice cocainomane che in passato aveva una storia d’amore con Manfredi e che ora è passata dall’altra parte e fa ‘comunella’ con gli ufficiali della Gestapo. Un sodalizio, questo, che permette agli ufficiali tedeschi di catturare Manfredi e il sacerdote.
E’ qui che Roberto Rossellini, malgrado la carenza di mezzi a sua disposizione e malgrado una precarietà generale, offre il meglio di sé consegnando alla storia il più bel film della corrente neorealista.
Durante la prigionia, infatti, Manfedi non rivela alcun nome dei suoi compagni malgrado venga torturato a morte. Il sacerdote, invece, viene fucilato mentre sta ricevendo l’estremo saluto dai ragazzi della sua chiesa. Una scena a dir poco toccante, non l’unica del film.
Una scena che consegna alla storia una sequenza indimenticabile: Anna Magnani falciata dai mitra mentre insegue la camionetta in cui c’è il suo uomo.
Alla base della vicenda sta un personaggio realmente esistito, don Morosini, che i tedeschi fucilarono a Roma per la sua adesione alla lotta partigiana.