Marco Ponti è stato il fortunato autore di Santa Maradona. Un’opera prima che, all’epoca della sua uscita, fece sperare nella comparsa di un nuovo e bravo regista.
Poi Ponti ha portato al cinema A/R Andata + Ritorno e sono iniziati a sorgere i primi dubbi che questa possibilità potesse realizzarsi. Con Passione Sinistra Ponti li ha fugati tutti questi dubbi, trasformandoli in un’amara certezza. Passione Sinistra è una commedia leggera, se così la si vuole definire, anche se la definizione è piuttosto ambiziosa, che secondo le intenzioni del regista avrebbe dovuto prendere di mira gli stereotipi socio-politici italiani che dividono la destra dalla sinistra mostrando la loro inutilità nel mondo moderno attraverso l’incontro scontro dei due protagonisti della vicenda amorosa che infarcisce il film: lei idealista di sinistra (Marco Ponti non ci dà neanche il tempo di scoprirlo da soli, è lei stessa a dircelo all’inizio del film), lui arrogante di destra che si incontrano per caso, si odiano e poi si lasciano andare alla passione.
Tutto qua. Ma proprio tutto qua.
Un grande peccato che questo film rimanga così tanto in superficie. Lo spunto narrativo c’era, anche se debole, e Marco Ponti lo avrebbe potuto affrontarlo con lo stesso piglio utilizzato in Santa Maradona restituendoci una pellicola divertente e originale che davvero destrutturasse gli anacronistici dualismi tra destra e sinistra, tra rosso e nero, sopratutto in relazione alla situazione socio-politico-culturale dell’Italia.
E invece il regista non riesce neanche a ricreare quegli stereotipi che vorrebbe distruggere: ha talmente tanta paura che lo spettatore non li comprenda che li ce li dice già sulla locandina.
Salviamo il salvabile: Eva Riccobono che riesce ad incarnare il suo stereotipo quasi fino alla perfezione e Glen Blackhall, nei panni di Andrea Splendore, candidato sindaco di Roma, nella sua interpretazione tanto surreale da essere la più credibile di tutte.