La Grande Bellezza, un’imperfetta perfezione

Prima di poter dare un qualsiasi giudizio su La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino è necessario fare una piccola premessa: La Grande Bellezza non è un film su Roma e non è un omaggio a Fellini. La Grande Bellezza è l’espressione iconica del genio di Paolo Sorrentino.

Nessuna storia, nessun racconto, nessun filo conduttore, nessun giudizio, ma una serie di episodi e situazioni e personaggi che sono la rappresentazione di un’epoca decadente e malata. Roma sì, la si vede e la si ama – bellissima nei suoi scorci e nei suoi segreti – ma è la carrellata umana che ci propone Paolo Sorrentino a fare la grandezza di questa pellicola.

La Grande Bellezza non è un film facile. E’ lungo, e in alcuni punti la sceneggiatura sembra inciampare e perdersi in tempi morti e vuoti, non c’è suspence, non ci racconta la storia di nessuno. La Grande Bellezza è immobile in un presente che solo a volte si ricorda del suo passato, ma quando lo fa è solo per rimarcare l’immobilità dell’adesso.

La Grande Bellezza è Jep Gambardella. Toni Servillo è maestoso nella sua interpretazione. Pigro ed indolente, elegante e decadente, colto ed intelligente, quanto cinico ed annoiato. L’interpretazione di Servillo è teatrale, è intelligente, geniale. Perfetto nall’accento e nelle espressioni, conduce tutti i comprimari per mano e riesce a dare un senso anche a tutti quei personaggi che Sorrentino porta sullo schermo anche solo per pochi attimi.

Carlo Verdone e Sabrina Ferilli. L’amico di sempre di Jep l’uno e il suo tramite per il reale l’altra. Carlo Buccirosso, venditore di giocattoli, cinico e fiero di esserlo. Iaia Forte che esprime ciò con dice con le sue espressioni. Pamela Villoresi e Galatea Ranzi, radical chic sbugiardate. Roberto Herlitzka icona della spiritualità perduta.

Anita Kravos prende a capocciate un acquedotto – con pube tinto di rosso con tanto di falce e martello – ma non vuole parlare delle vibrazioni. Isabella Ferrari che alla domanda ‘Cosa fai nella vita?’ risponde: ‘Io sono ricca’. Serena Grandi con il sangue che le cola dal naso.

E tutti gli altri, troppi per elencarli tutti. Come poteva esserci una storia?

Ci sono tutti loro e le splendide immagini – alla direzione della fotografia c’è Luca Bigazzi –  che Sorrentino porta sullo schermo e che ti catturano dall’inizio alla fine. La Grande Bellezza non è un film, non almeno nel modo in cui lo si intende,  ma è un quadro, una serie di quadri, confusamente messi uno dietro l’altro senza alcun apparente filo conduttore (uno ci sarebbe, ma è troppo debole per essere il fondamento di due ore abbondanti di film).

Sorrentino ha fatto sfoggio di sé e della sua padronanza del mezzo espressivo e non ha voluto raccontare nulla, fa una domanda ma non dà una risposta, né personale, né universale, né artistica. E’ solo un trucco.

Solo un trucco.

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