E’ scomparso ieri all’età di 94 anni Giulio Andreotti. Un uomo che ha cavalcato gli avvenimenti della politica italiana, essendone molto spesso artefice e protagonista, dal dopoguerra ad oggi.
Il suo primo incarico politico, non per nulla, fu proprio quello, che gli diede Alcide De Gasperi, alla Presidenza del Consiglio con delega allo spettacolo. Era giovanissimo allora Andreotti, ma già sapeva bene come muoversi tra i fili che legano indissolubilmente cultura e politica.
Con il suo vero volto e nel suo ruolo politico Giulio Andreotti comparve una sola volta in una pellicola. Era il 1983 e la pellicola era Il Tassinaro, diretta e interpretata da Alberto Sordi, che lo volle per un cameo e lo fece recitare proprio a bordo del suo taxi.
Ma questo è solo una piccola goccia nel mare del rapporto intenso e non sempre amichevole che ebbe il sette volte presidente del consiglio con la settima arte. Fin da subito, dopo che De Gasperi lo volle allo Spettacolo, Giulio Andreotti, mosso anche da un innegabile passione per il cinema, si è posto come difensore di un certo tipo di cinema, educativo, patriottico e morale, che era altro da ciò che passava sui grandi schermi in quel periodo e nei successivi.
Questo è ciò che disse a proposito di Umberto D di Vittorio De Sica:
Se è vero che il male si può combattere anche mettendone a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti – erroneamente – a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del XX secolo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale.
Ma non solo De Sica, anche Federico Fellini, e con loro il Neorealismo tutto, non fu salvo dalle sue critiche. Era democristiano Andreotti, e per lui il cinema era lo strumento per illustrare un paese in rinascita con forte matrice cattolica.
Va dato comunque atto a Guilio Andreotti di aver fatto molto per la settima arte in Italia. La riapertura di Cinecittà, così come la legge che obbliga le produzioni americane a versare nelle casse dello Stato italiano una percentuale degli incassi. Senza dimenticare i tanti film, anche se scomodi, che Giulio Andreotti ha salvato dalla censura: Gioventù perduta di Pietro Germi, Roma Città aperta di Roberto Rossellini, Persiane chiuse di Luigi Comencini e molti altri.
Il tempo passa e la situazione cambia, ma Andreotti, come dice la signora La Trippa in Gli Onorevoli
non c’è rosa senza spine, non c’è governo senza Andreotti.
Parlano di lui in tanti al cinema. Ne parla Nanni Moretti in Ecce Bombo, ne parla Lino Banfi ne Il commissario Lo Gatto e ne parlano anche ne Il padrino.
Lui, Andreotti, non dice mai nulla. Ossia, dice, e poi ritratta, oppure dice nel suo modo particolare di parlare, girando intorno all’argomento e eludendo. Segno di grande intelligenza? Di furbizia?
Sia quel che sia, come dimostra anche Il Divo di Paolo Sorrentino, pellicola interamente incentrata sull’uomo e sul personaggio Andreotti, usato, qui, come strumento per parlare di potere e del rapporto di questo con la società, Giulio Andreotti è stato una figura di grande rilievo per l’Italia, controverso, cinico, imperscrutabile, ma comunque grandissimo.