E la chiamano estate di Paolo Franchi (Nessuna qualità agli eroi) parteciperà in concorso al Festival di Roma 2012 e uscirà il 22 novembre nelle sale, distribuito da Officine UBU. La pellicola prodotta da Nicoletta Mantovani per Pavarotti International 23 srl, vede protagonisti Isabella Ferrari, Jean-Marc Barr, Eva Riccobono, Luca Argentero e Filippo Nigro. Dopo il salto trovate una sinossi del film e alcune note di regia.
Anna e Dino e la loro “estate”. Si può chiamare “amore” questo? Un amore che rinuncia al sesso dunque alla sua realizzazione nel piacere e nel soddisfacimento dell’impulso? Dino il protagonista “ama” Anna ma ha paura di perderla, di deluderla, di farle del male. E allora “non può” desiderarla. Forse Anna è bella, troppo bella per lui… Dino pensa di non meritarsi niente, forse si odia, forse è proprio lui il peggior nemico di se stesso…
NOTE DI REGIA
Attraverso alcuni momenti narrativi della coppia vissuti in una “simbolica” stanza da letto, parole pronunciate da amici ed estranei, scene iperrealiste, a tratti quasi rubate, brevi ricordi che affiorano insieme a delle fotografie, immagini di un telefonino con cui Dino riprende le sue notti, si ricostruisce piano un puzzle doloroso, quasi un rebus, di questo uomo imprigionato nella sua “coscienza infelice”, come l’ha definita Sartre.
Un mosaico fatto di tante tessere, che appartengono al passato, al presente, al futuro e che si mescolano, rivelando il significato ultimo solo all’ultimo tassello, all’ultimo fotogramma.
La scissione che Dino attua tra eros e sentimento è spietata e totale e non gli lascia alcuna via di scampo, se non condurre una doppia vita facendo compulsivamente sesso con prostitute e coppie di scambisti e ritornando a casa con un grande vuoto dentro e una spina sempre più profonda nel suo cuore.
E Anna, la sua “amata”, come reagisce di fronte a tutto questo? Perché non si ribella, perché non lo lascia? Può sembrare assurdo ma questo vuoto, questa sofferenza di Dino la fa sentire profondamente amata. La sua insostituibile chimera. Si sente appagata, nonostante la frustrazione dell’assenza del rapporto fisico. Anna ha sempre rifiutato gli schemi, le prigioni, anche quelle dorate di una famiglia rassicurante o quella di un ex compagno che, con il suo amore soffocante, non le lasciava spazio di respirare. Di immaginare… Perché forse, in questa storia, l’elemento della immaginazione assume un ruolo importante. E’ il punto di partenza e di arrivo di questo “amore” che rimane sempre “potenziale”. Rimane un’astrazione. Una speranza. Un sogno. Il sogno. O forse una fuga dalla realtà che delude e disattende le aspettative, troppo spesso.
E’ una coppia profondamente romantica quella di Anna e Dino. Romantica fino allo struggimento. Qualcuno definirebbe quest’uomo un borderline, un nevrotico con un grande senso di colpa che non gli permette nemmeno di sfiorare la felicità, la completezza, l’appagamento. Le sue notti trasgressive non fanno che inaridirlo, trascinarlo sempre più giù, nel fondo di un abisso.
Senza amore il sesso rischia di diventare un atto meccanico. Ossessivo. Compulsivo. Questo Dino lo sa, perché dietro la sua nevrosi, o perversione?, c’è un eroe tragico. La sua sensibilità gli impedisce di diventare indifferente, come tanti, troppi uomini, ma non gli permette nemmeno di chiedere aiuto a nessuno. E allora ecco che Dino preferisce esercitare su di sé tutta la violenza e il dolore che cova dentro, allontanandosi dal suo “grande amore” che si dissolve nell’aria come un battito d’ali o un’estate troppo breve…
Per quanto concerne l’aspetto stilistico, sento in questa storia molto particolare la necessità di distaccarmi da un certo impianto classico. L’andamento narrativo frammentato mi è parso il più congeniale per raccontare l’inquietudine, la drammaticità di questo amore.
La molteplicità delle forme si presta perfettamente ad un progetto artistico come questo.
Brevi monologhi in primo piano che rinviano a una seduta psicoanalitica e ad un appello allo spettatore a sospendere il giudizio. Immagini che alludono ai sogni, ai ricordi, al presente, scene reiterate che nella loro ripetizione di bergsoniana memoria acquisiscono il loro significato ultimo.
Ma tutto questo, tengo molto a sottolinearlo, in una compagine di grande semplicità e fruibilità, come quando ci si trova di fronte a un vecchio album di fotografie, un po’ disordinato, dove si ritrovano vecchie foto in bianco e nero, polaroid sbiadite mischiate a posati più eleganti e recenti. E noi rimaniamo lì, increduli, con un nodo alla gola davanti alla vita che ci sta passando accanto…
(Fonte Cinemaitaliano.info)