Daniele Vicari ha fatto parlare di sé molto a lungo grazie al suo Diaz. Un bel film, sicuramente, che anche noi abbiamo apprezzato molto e lo abbiamo inserito anche nella nostra classifica del meglio della cinematografia italiana del 2012, ma lo è in confronto a tutti gli altri, perché, volendolo considerare singolarmente, l’opinione non è la stessa.
Prendendo spunto dal premio che il mensile Ciak ha voluto attribuire al film – miglior film italiano dell’anno secondo i risultati del sondaggio fatto tra i lettori – parliamo dei difetti del film e di quello che non c’è piaciuto.
Diaz è un film coraggioso, che racconta quello che è successo durante il G8 di Genova del 2001, ossia i fatti così come emergono
dagli atti processuali e dalle sentenze della corte di appello di Genova.
Quindi, in teoria, Diaz racconta tutta la verità. Io avrei da obiettare qualcosa, soprattutto perché se si parte dal presupposto che non si sta romanzando un fatto ma lo si sta raccontando così come è avvenuto, lo si deve raccontare in tutte le sue sfaccettature, quelle comode e quelle scomode, senza aver paura delle ripercussione che questo può avere.
E qui Diaz delude le aspettative. Manca una parte della verità – mancano i nomi dei carnefici e dei responsabili delle alte sfere, mancano i nomi dei politici coinvolti – e manca un contesto, una spiegazione vera e propria del perché a Genova in quella calda estate del 2011 c’erano migliaia di persone a protestare.
La verità ha tante sfaccettature, forse addirittura troppe per poter essere prese tutte in considerazione. Il racconto di Vicari è ben fatto, ribadisco, ma troppo lacunoso e, in fin dei conti, superficiale rispetto alla portata dei fatti narrati. Un film che aveva delle enormi potenzialità, avrebbe potuto riaccendere le coscienze sui problemi reali del nostro paese (non la crisi economica, non quello che fa Berlusconi, ma ciò che i media non ci fanno sapere, quello che accede nelle stanze del potere a cui noi non abbiamo accesso), e invece finisce per ricordare le parole che Dario Fo in Morte accidentale di un anarchico fa dire alla giornalista:
Lo scandalo, anche quando non c’è, bisognerebbe inventarlo, perché è un mezzo straordinario per mantenere il potere e scaricare le coscienze degli oppressi.
“Diaz” di Vicari è un piccolo film in assoluto, ma è piccolo anche rispetto alla miglior produzione italiana degli ultimi anni.
Il bel cinema deve trasfigurare la realtà in modo da poter essere compreso da tutti (nel mondo) e magari a distanza di anni o decenni.
Da noi si producono troppi film come “Diaz”, “Gomorra”, “La prima linea”, “ACAB”, “Romanzo di una strage”… che finiscono per essere provinciali e autoreferenziali: raccontati con troppo rispetto della realtà e con linguaggi da fiction.
Il grande cinema italiano d’oggi, quello che regge il confronto coi classici, sta da altre parti: films come “La migliore offerta”, “Habemus papam”, “Le quattro volte”, “L’uomo che verrà”, “Cesare deve morire”, “Vincere”, tanto per citarne alcuni, volano alto e reggeranno all’usura del tempo.