Il 12 febbraio al Festival di Berlino verrà presentato Diaz. Don’t clean up this blood, il drammatico di Daniele Vicari dedicato ai tragici avvenimenti avvenuti a Genova tra il 20 e il 22 luglio 2001. Claudio Santamaria a Il corriere della sera racconta il clima che si è creato sul set.
Sul set c’era una forte emotività, come se a Bucarest, dove abbiamo girato, fra attori italiani, francesi, spagnoli, romeni, avessimo ricreato il Genova social forum di quei giorni di follia. C’era la consapevolezza di fare qualcosa di importante, di necessario. Il film più duro che abbia mai fatto.
L’attore parla del suo personaggio, il poliziotto che al processo usò l’immagine di “macelleria messicana”:
Fermò il massacro. Non ci sono buoni e cattivi. Lui è un soldato che fa il suo dovere, non fa un mestiere facile, cerca di attenersi al regolamento. Non è un eroe. Ma è l’unico che, secondo gli atti processuali, viene assalito dal dubbio. Con un alone di ambiguità. Nella caserma di Bolzaneto, poi, dove i fatti furono perfino più gravi, fece finta di niente e se ne andrò. Parla di macelleria messicana, ma in realtà è stata una macelleria italiana, tutto questo è successo in Italia.
Santamaria sottolinea come Diaz non abbia nulla in comune con ACAB:
Il paragone con Acab, il film sui celerini, è fuorviante, non hanno niente in comune. Qui il vero protagonista è la storia che, usando anche immagini di repertorio, scavalca ogni individualità attoriale. A Bucarest abbiamo ricostruito tutta la strada. A Genova sarebbe stato impossibile: c’erano fino a 9000 comparse. Il film è tristemente spettacolare.