Alberto Sordi Story: “Un borghese piccolo piccolo” 1977

Se si cerca di fare una storia della carriera di Alberto Sordi, raccontare de Un borghese piccolo piccolo è un passaggio obbligato. Film diretto da Mario Monicelli del 1977 rappresenta una svolta non solo nella carriera del suo protagonismo, ma nella storia del cinema italiano.

Senza esagerazione, Un borghese piccolo piccolo è il film che sancisce la morte della commedia all’italiana. Il passaggio dagli Anni ’60 ai ’70 ha cambiato l’Italia e il modo di fare cinema. Segna la sconfitta della commedia all’italiana e, con essa, dei caratteri che l’hanno resa celebre.

Pur iniziando come una commedia dolce amara, infatti, Un borghese piccolo piccolo ha una improvvisa virata drammatica. Dapprima Monicelli ci fa vedere a cosa è disposto un padre pur di assicurare una carriera al figlio.

Il padre è Giovanni Vivaldi, interpretato da Alberto Sordi, impiegato Inps e prossimo alla pensione che cerca, con i mezzi che ha a disposizione, arrivando anche ad iscriversi ad una loggia massonica (solo quattro anni dopo l’uscita del film scoppierà lo scandalo della P2),  di lasciare il suo posto al figlio Mario, da poco diplomato ragioniere.

Al momento in cui tutto sembra fatto, il film si trasforma in tragedia. Mario viene ucciso in uno scontro a fuoco in seguito ad una rapina. Un evento che sconvolge la vita di Giovanni e della moglie. Lei, distrutta dalla perdita, si chiuderà in un silenzio che l’accompagnerà fino alla morte, lui, invece, cerca la sua personale vendetta. Riesce a prendere l’assassino del figlio e si trasformerà lui stesso in assassino, lasciando morire il delinquente nel capanno in cui lo aveva rinchiuso.

Il finale del film è sospeso, come è sospeso il giudizio sulle azioni di Giovanni Vivaldi. Padre che fa grandi sacrifici e rinunce pur di dare un futuro al figlio e che non riesce a rassegnarsi quando il fato gli porta via tutto ciò a cui ha dedicato la sua vita.

La svolta drammatica dell’attore Sordi, che qui è magistralmente orchestrata da Mario Monicelli, segnala quanto gli anni ’70 siano stati diversi dai precedenti. Non basta più ridere dei vizi e dei difetti degli italiani per mantenere viva l’attenzione e la riflessione su di loro, ma è necessario presentare la realtà nel modo più crudo possibile, perché, ormai, non c’è una speranza di redenzione.

L’italiano medio tanto caro alla commedia all’italiana non c’è più. I suoi personaggi con i loro difetti che ci hanno fatto tanto ridere non sono più quelli, perché l’Italia degli ‘anni di piombo’ li ha cambiati, ne ha eliminato l’ultimo barlume di moralità e di umanità. Non c’è più nulla da ridere.

Lascia un commento