Il 1942 passò alla storia come il penultimo anno del ‘ventennio fascista’. Un’era che gli italiani non dimenticheranno mai. L’era in cui a capo del Paese c’era Benito Mussolini. Sotto la sua ‘egidia’ il ‘BelPaese’ è in guerra da due anni.
Dal punto di vista cinematografico, un personaggio che politicamente parlando si schierò agli antipodi di Mussolini, e dunque tra le file del comunismo, fece il suo esordio alla regia. Parliamo di Luchino Visconti. Il 1942 è dunque anche il ‘suo’ anno. Traendo spunto da “Il postino suona sempre due volte” di James Cain, Luchino Visconti porta sul grande schermo “Ossessione”.
Sin dalla scelta di basarsi sul romanzo di uno scrittore americano proibito durante l’età littoria, si comprende molto della vasta personalità e del coraggio di Visconti.
La storia è quella di Gino, un nullafacente che un giorno fa sosta in una locanda e entra in cucina con spavalderia per seguire una donna che lo aveva attratto. I due si amano sin da subito.
Lei è una donna avvenente, infelice perché sposata col padrone della stazione di servizio/locanda.
Il padrone è facile da ‘inquadrare’. Un bellimbusto alto e ‘pericoloso’. Non andrà da subito d’accordo con Gino, e ne ha tutte le ragioni. Poi, però gli offre un posto di aiutante. Tra Gino e sua moglie, Giovanna, però, la passione cresce giorno dopo giorno.
I due amanti, pertanto, decidono di far fuori l’ormone. Il loro piano, però, non andrà a buon fine.
“Ossessione”, in virtù di una storia densa di emozioni e carica di significati, è un esordio ‘coi fiocchi’. L’esordio al cinema del genio di Luchino Visconti. Un esordio sprezzante del pericolo, che si disinteressa delle convenzioni fasciste così rigide e devote alla censura.
Creò scandalo. Ma anche speranza.