Paolo Sorrentino esordisce nel lungometraggio con “L’uomo in più”, un film del 2001, più volte definito poetico e che sancisce l’inizio della collaborazione con Toni Servillo.
Foto|Alberto Pizzoli/AFP/Getty
Siamo nella Napoli anni ’80, periodo di esagerazioni, dove sotto i riflettori ci sono il calcio e la musica, Antonio Pisapia è il protagonista, anzi, i protagonisti: Antonio è un introverso calciatore integro che non si presta ai trucchi del calcio scommesse, Tony è un egocentrico cantante all’apice del successo, messo fuori gioco da una minorenne che gli si concede.
Entrambi vengono messi duramente alla prova dalla vita, chi per un motivo, chi per un altro, cercano di risalire la china.
Due personaggi così diversi, eppure accomunati da una storia di solitudine, incomprensione, ricerca di “quell’uomo in più” che potrebbe premiare l’instancabile Antonio e ridare la speranza al disilluso Tony. Un racconto parallelo in cui entrambi trovano la risoluzione alla loro condizione, per scoprire finalmente la libertà.
Sin da questo esordio cinematografico, Paolo Sorrentino stupisce per la sua originalità, il film non è mai banale, non c’è apparenza, ma sostanza, la sostanza di una storia intima e profonda.
Si possono già leggere alcuni dei tratti che contraddistinguono il regista, l’aspetto grottesco, il tragico, l’onirico, elementi presenti anche nel suo “salto” al cinema internazionale. “This must be the place” è il film che il regista gira tra l’Irlanda e gli Stati Uniti, con protagonista Sean Penn.
Quest’ultimo interpreta Cheyenne, un rocker 50enne ormai fuori dalle scene ,che continua a vestirsi e truccarsi come vent’anni prima. Il suo aspetto è un modo per ancorarsi al passato glorioso che non ha più, ma nello stesso tempo lo separa dal presente.
Per inseguire l’ossessione del padre, dopo la sua morte, intraprende un viaggio, con un bagaglio di situazioni irrisolte.Accanto a lui la moglie, interpretata da Frances McDormand, una donna solida, fondamentale per farlo sopravvivere alla sua lenta e pacata depressione.
La canzone che da il titolo al film è un po’ il fil rouge del racconto, Cheyenne, personaggio complesso, anche se non vuole ammetterlo, compie un lungo viaggio per ritrovare un posto dentro di sé.
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