Enrico Fiabeschi ha deciso di abbandonare Bologna, città dove ha scelto di trasferirsi dalla lontana Calabria per frequentare l’università, dopo essere arrivato a 40 anni e non avere, ancora, concluso molto nella sua vita di studente fuoricorso.
Nonostante Fiabeschi non sia uno dei personaggi più celebri di quelli creati dalla penna di Andrea Pazienza, lo si potrebbe definire un personaggio iconico, nel quale si possono riconoscere diverse generazioni di studenti universitari.
La sua vita dopo i 40 anni arriverà sui grandi schermi il 22 agosto, grazie a Fiabeschi torna a casa, pellicola diretta ed interpretata da Max Mazzotta, che già nel 2001 ha interpretato il personaggio di Enrico Fiabeschi in Paz! di Enrico De Maria.
L’immedesimazione con Fiabeschi – commenta Maz Mazzotta – per chi leggeva il fumetto negli anni settanta, era immediata, così come lo è stata per chi nel 2001 ha visto al cinema PAZ! Oggi, dopo tanti anni dalla sua nascita, le dinamiche degli studenti universitari non sono per niente mutate; per questo Fiabeschi è un personaggio “universale”, l’emblema di una generazione trasversale rimasta sempre fedele a se stessa.
Fiabeschi torna a casa – Il trailer
Il Fiabeschi di oggi, pur essendo sempre una catastrofe, ora riflette sui suoi disastri e sulla sua inadeguatezza; così il suo dissidio interiore nasce proprio dal contrasto tra la sua natura e un barlume di coscienza che per la prima volta, sulla soglia dei quarant’anni, inizia ad affacciarsi nella sua vita.
Enrico Fiabeschi tona a casa, a Cuculicchio, il suo paese , dove ritrova la sua famiglia: il padre Giuseppe bidello, la madre Maria casalinga e la zia rintronata, ma anche la sorpresa di un fratellino adottato da qualche anno a sua insaputa. Ci sono anche gli amici di sempre e gli abitanti del paese, ricordi di un passato rimasto congelato nel tempo.
Da qui inizia la sua ricerca, prima di tutto di una sistemazione, di un lavoro, poi di se stesso.
Enrico ritorna al Sud, a casa, come simbolo di una generazione che ha fallito nel sogno di “farsi una vita al nord”, ma il suo è anche un ritorno metaforico a se stesso, un percorso introspettivo. Il Sud che lui ritrova è una realtà quasi surreale, un passato travestito da presente; da un lato è fatto di volti amici, gesti semplici e variegata umanità; dall’altro, è un microcosmo paralizzato, vittima di un incantesimo fatto di antiche consuetudini, in cui nulla succede e nulla muta; e il destino di Enrico sembra quello di essere un outsider anche in patria, comunque relegato nella sua condizione di disadattato cronico.