Addio a Damiano Damiani, regista di denuncia

Si è spento ieri nella sua casa di Roma Damiano Damiani. Aveva 90 anni e già da diversi anni aveva abbandonato la sua professione, ma ciò che ha fatto per il cinema italiano e per la televisione rimane uno dei contributi più significativi ed impegnati della nostra cinematografia.

Molto attivo tra gli anni Sessanta e Settanta al cinema, con titoli come Il Sicario, L’Isola di Arturo, Il Giorno della Civetta e moltissimi altri film nei quali emerge una volontà di denuncia e un chiaro impegno politico, Damiano Damiani è entrato nelle case di tutti gli italiani soprattutto a partire dagli anni Ottanta, quando porta sul piccolo schermo La Piovra.

Pasolini lo definiva un amaro moralista assettato di vecchia purezza. In effetti Damiano Damiani è stato un regista che, pur muovendosi i tutti i campi del cinema, non ha ,ai abbandonato ciò che per lui era la vera essenza del fare film: raccontare il mondo con una chiave di lettura critica, che fosse sia morale che sociale.

Una carriera, la sua, che inizia sullo sfondo del Neorealismo e, pur proseguendo per molto tempo ancora, non ha mai abbandonato l’impegno civile. Il primo film è Il rossetto del 1960. Seguono collaborazioni illustri –Cesare Zavattini e Tonino Guerra sono solo un paio di esempi- che lo portano a sfornare lavori che, nonostante l’impegno politico e civile riescono a fare dei grandi numeri al botteghino.

Caso praticamente unico.

Poi arriva la televisione negli anni ’80 con La Piovra con il Commissario Cattaneo entra nelle case degli italiani e racconta la storia del paese e poi, ancora, Treno di Lenin, L’uomo di rispetto, Una bambina di troppo e Ama il tuo nemico. 

Una lunga carriera che si conclude una decina di anni fa, quando Damiano Damiani decide di ritirarsi dal cinema per dedicare il suo tempo ad una delle sue grandi passioni: la pittura.

1 commento su “Addio a Damiano Damiani, regista di denuncia”

  1. Gentili redattori,

    Abbiamo intercettato una conversazione tra uno studente di cinema bivaccato a Roma e suo nonno, un tempo acclamato regista.
    Ci pare interessante rigirarvela, certi della vostra discrezione:

    “Caro nonno, ho iniziato da poco a vedere i tuoi lavori. Perdonami, ma sai com’è: i familiari sono spesso l’ultima ruota del carro. Eppoi non ho mai digerito l’etichetta con la quale spacciano i tuoi film: “pellicole di denuncia”.
    E’ una definizione che, nemmeno velatamente, evoca pedanteria, legnosità … noia.
    Un mese fa, mentre al corso ci stavano scassando i coglioni con una zuppa di J.P. Melville, un compagno che ignorava la nostra parentela mi ha consigliato di vedere un tuo film: s’intitolava “Io ho paura”… è stata un’esperienza elettrizzante e da quel momento non ho potuto fare a meno di procurarmi tutto quello che è reperibile su di te.
    “Il sicario”, “Confessioni di un commissario”, “L’avvertimento”, “Il rossetto”, “Goodbye & amen”, “Il giorno della civetta”, “L’istruttoria è chiusa…”, “Amytiville Possession”, “La strega in amore”, “Quien sabe” … tutti film vigorosi, appassionanti, grandi! Altro che fottutissima *denuncia*, ho pensato, questo sì che è cinema!
    Ma ora una domanda mi assilla: per quale ragione pochissimi ti ricordano, ti celebrano, ti “coccolano”?
    Pare che nel cuore e nelle penne della critica italiana ci sia posto per tutti, da Fellini a Castellari, meno che per te nonno. Per quale motivo?”

    Ecco la risposta del novantenne ex regista:

    “Caro nipote, che gioia sentirti e che gioia leggere queste tue parole!
    Probabilmente ho commesso degli errori che sto pagando: in primis quello di essere ancora vivo.
    In passato poi ho concesso troppe interviste “civilmente impegnate”, e ho affibbiato titoli didascalici ad alcuni miei film.
    All’epoca era una politica che pagava, oggi no: tutti pensano che quelle pellicole siano inutili rotture di fava, e quindi nemmeno le guardano.
    In realtà, a differenza del mio buon amico Francesco Rosi, io ho sempre amato il racconto all’americana e nei miei lavori ho coniugato le due cose: volevo raccontare storie italiane (minchia, dove vivevo in fondo?), ma anche raccontarle in maniera spettacolare tenendo la *denuncia* (ammesso che ci fosse) sempre sullo sfondo.
    Sono soddisfatto della mia carriera, a parte alcuni titoli rifarei tutto: spero che dopo la mia morte ricomicino a guardare i miei lavori come hai fatto tu … e a “riscoprirmi”.
    Quando sarà il momento, ricorda di portarmi fiori sulla tomba, qualche volta.”

    Con affetto: nonno Damiano

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