Ennio Contini, quando, in quel lontano 1955, uscì il film Bravissimo, diretto da Luigi Filippo D’Amico e magistralmente interpretato da Alberto Sordi e dal piccolo Giancarlo Zarfati, scrisse su Il Messaggero:
Più che sulla trovata della voce baritonale – rapidamente esaurita – il film si appoggia sull’intreccio di egoismi, di vanità, di contrattempi e di equivoci che regolano la vicenda e sulla esilarante esuberanza di Alberto Sordi (…). La regia di Luigi Filippo D’Amico, agile e scorrevole, colorita, sa abilmente sfruttare le divertenti risorse del soggetto.
E questa definizione racchiude in sé tutta l’essenza di Bravissimo.
La pellicola di D’Amico racconta la storia di Ubaldo Impallato (Alberto Sordi) maestro di scuola elementare precario in cerca del tanto agognato posto fisso. Tra i suoi alunni c’è Gigetto, ragazzino dall’infanzia difficile che nasconde però un talento grandissimo: una strabiliante voce da baritono dovuta alle sue tonsille enormi.
Ubaldo ne diventerà il tutore dopo l’arresto del padre e cercherà di sfruttare al meglio questa sua potenzialità. Ma le buone intenzioni del maestro -tra le quali c’è anche il suo personale tornaconto- si trasformeranno presto in un incubo, quando a reclamare il piccolo Gigetto e la fortuna che potrebbe fruttare arrivano gli zii, quelle stesse persone che lo avevano rifiutato quando ne aveva più bisogno.
Sarà poi Gigetto a risolvere la situazione, prima scappando e poi ammalandosi, perdendo così il suo talento. Nessuno lo vuole più, a parte Ubaldo che ormai si è affezionato al bambino, e il padre che nel frattempo è stato scarcerato. Ed è proprio quando il maestro riconsegna il piccolo al padre che scopre che i suoi talenti non sono finiti. Gigetto sa suonare il pianoforte, ma Ubaldo, al limite della pazzia, non vuole più saperne.
Una commedia dolce e amara che mette in luce, con una ironia intelligente e precisa, la vera natura dell’essere umano. Un esuberante e incontenibile Alberto Sordi dà vita ad un personaggio che, in bilico tra meschinità e sentimento, rispecchia universalmente -non più come in altri film precedenti un carattere nazionale- il modo di essere dell’umanità, quell’umanità che, alle prese con una vita il più delle volte mediocre e stantia, cerca la sua opportunità di riscatto.